“Prendi dei gattini, dei teneri micetti e mettili dentro una scatola” mi
dice Jamal, chirurgo dell’ospedale Al Shifa, il principale di Gaza,
mentre un infermiere pone per terra dinnanzi a noi proprio un paio di
scatoloni di cartone, coperti di chiazze di sangue. “Sigilla la scatola,
quindi con tutto il tuo peso e la tua forza saltaci sopra sino a quando
senti scricchiolare gli ossicini, e l’ultimo miagolio soffocato.” Fisso
gli scatoloni attonito, il dottore continua “Cerca ora di immaginare
cosa accadrebbe subito dopo la diffusione di una scena del genere, la
reazione giustamente sdegnata dell’opinione pubblica mondiale, le
denunce delle organizzazioni animaliste…” il dottore continua il suo
racconto e io non riesco a spostare un attimo gli occhi da quelle
scatole poggiate dinnanzi ai miei piedi. “Israele ha rinchiuso centinaia
di civili in una scuola come in una scatola, decine di bambini, e poi
l'ha schiacciata con tutto il peso delle sue bombe. E quale sono state
le reazioni nel mondo? Quasi nulla. Tanto valeva nascere animali,
piuttosto che palestinesi, saremmo stati più tutelati.” A questo punto
il dottore si china verso una scatola, e me la scoperchia dinnanzi.
Dentro ci sono contenuti gli arti mutilati, braccia e gambe, dal
ginocchio in giù o interi femori, amputati ai feriti provenienti dalla
scuola delle Nazioni Unite Al Fakhura di Jabalia, più di cinquanta
finora le vittime. Fingo una telefonata urgente, mi congedo da Jamal, in
realtà mi dirigo verso i servizi igienici, mi piego in due e vomito.
Vittorio Arrigoni, Gaza, 8 gennaio 2009
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